L’ordinamento giuridico ha intrapreso la strada di un’articolata politica di prevenzione della corruzione e di promozione dell’imparzialità nelle P.A. ad integrazione della tradizionale risposta repressiva penale.

Questa innovazione si basa su due pilastri: il primo rappresentato dal responsabile dell’anticorruzione; il secondo rappresentato dal piano per l’anticorruzione. Naturalmente questi due pilastri sono fra loro inscindibilmente collegati, nel senso che il piano per l’anticorruzione ha un suo specifico responsabile che ne cura la predisposizione e la relativa vigilanza. Pertanto, non sarebbe neppure ipotizzabile in questo nuovo sistema che l’uno possa esistere senza l’altro. Larga parte delle misure di prevenzione previste in tema sono contenute nel sistema pianificatorio menzionato.

Nell’ambito dei pilastri indicati si sviluppa un vero e proprio sistema di cui è molto complesso comprendere pienamente presupposti, istituti e concreti obbiettivi. Ed in effetti molto dipende dai punti di vista con cui si guarda allo stesso, cioè dagli angoli prospettici prescelti. Esso può guardarsi dal lato del Responsabile della prevenzione, oppure da quello del referente o ancora da quello dell’organo politico o infine da quello dell’operatore economico che interagisce con la P.A. In tutti questi casi – ed altri sono ancora ipotizzabili – mutano le situazioni ed i contorni di riferimento, dunque mutano gli effetti.

Comunque per stare a cose più pratico-operative in questi primi anni di applicazione si scorge: (1) un problematico rapporto fra politica e amministrazione in tema di prevenzione, nel senso che la stessa ANAC ammonisce le singole P.A. relativamente alla sostanziale indifferenza degli organi politici rappresentativi soprattutto a livello locale in tema di misure preventive della corruzione suggerendo altresì di trovare delle concrete modalità di coinvolgimento dell’organo politico; (2) una carente «mappatura dei processi» interni a ciascuna P.A; (3) una programmazione poco attenta delle misure di prevenzione dal rischio di corruzione, da intendersi come capacità delle amministrazioni di identificare e programmare gli interventi organizzativi finalizzati a ridurre il rischio corruttivo; (4) infine una maggiore adeguatezza riguardo ai meccanismi organizzativi volti alla garanzia di istituti fondamentali come quelli in tema di dipendente che segnala illeciti e di conflitto di interesse.

Sullo sfondo serve poi distinguere fra responsabilità del funzionario che commette un abuso e responsabilità del responsabile della prevenzione. Oltre a ciò, serve inoltre distinguere le responsabilità dei primi da quelle dell’organo politico che (pur sempre) approva il Piano, dunque ne è anch’esso responsabile, nonché le responsabilità (laddove esistenti) dei referenti che col loro apporto collaborano alla strategia di prevenzione con il responsabile della prevenzione.

  • Autore: Prof. Stefano Villamena
    Esperto in materia, Consulente e docente nella PA. Professore universitario di diritto amministrativo di ruolo Dottore di ricerca in Diritto Regionale e degli Enti locali